Il diciottesimo nodo Il diciottesimo nodo

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IL LIBRO

CAPITOLO PRIMO

 

 

1

Il sole entrava in pallide lame di luce attraverso gli

alti finestroni arcuati.

L’interno della cattedrale a tre navate era fresco e

silenzioso.

Tutti i banchi di legno lucido e scuro erano vuoti,

tranne uno. Seduto al centro del terzo banco dall’altar

maggiore c’era un uomo: capelli scuri non troppo corti,

qualche filo bianco. Testa china, spalle curve, braccia

abbandonate tra le gambe.

Jeans chiari logori, leggero giubbotto di pelle

marrone, stivali neri. Occhi chiusi.

Aveva vagabondato per ore. Senza meta, senza

pensare.

Aveva creduto di voler morire. “Camminerò finché

non mi si fermerà il cuore…dovrà cedere prima o poi…”.

Invece era arrivata prima la stanchezza, terribile, in

ogni parte del corpo.

Si era accorto che stava piovendo: piccole e fitte

gocce calde da scure nuvole estive.

L’aria era afosa e opprimente. La vita era un peso

atroce da sopportare.

 

* * *

 

Nel centro della piazza c’era una grande chiesa.

Svettante, gotica, tutta marmi e guglie.

Era entrato d’istinto e si era seduto, esausto.

Subito, parole di sfogo salite alle labbra, le lacrime ferme

negli occhi: “Nessuna speranza, Signore, nessuna via

d’uscita. Fallimento totale, nessun credito. Giulia partita:

<<Sei un pazzo>> e <<Non ne voglio sapere più niente

delle tue invenzioni. Non hai niente, non sei nessuno.>>

Finito”.

Da giorni, poi, quel dolore persistente alla testa.

Penetrate, acuto.

Era un po’ meglio in chiesa, nel fresco silenzio. Qui

finalmente si potevano chiudere gli occhi, forse perfino

dormire. Erano giorni che non dormiva…                            

“Ascolt…puoi sent…voci…puoi aiut…da

tanto…tu…”.

Sommessi brusii, come fruscío di foglie. “Chi sta

parlando?” Alessandro solleva di scatto la testa, spalanca

gli occhi. Si guarda intorno, ma la chiesa è completamente

vuota e l’unico suono udibile è quello prodotto

dall’acquazzone estivo contro i vetri istoriati.

“Eppure mi era sembrato distintamente di sentire

qualcosa. Frasi spezzate, parole lontanissime”.

Al si passa le mani sul viso stanco. “Sarebbero state

le prime parole rivolte a me da due giorni. Forse ho

talmente bisogno di conforto che me le sono sognate. Chi

mai potrebbe voler parlare con me, adesso. Il mio mondo è

crollato ed io sono il solo superstite”.

Poi si alza a fatica e prima di lasciare la chiesa si

guarda di nuovo intorno. Tira verso l’alto la giacca di pelle,

si copre la testa ed esce nella pioggia con un sospiro.

Chissà perché, si sente un po’ meno disperato.

* * *

continua...

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